CHE SARÀ DOMANI?

«E domani, che sarà domani?»

sussurrava l’anima mia all’orecchio,

la faccia sorridente nello specchio

ed un fascio di fiori tra le mani.

Quando l’ultimo rigo sarà letto

e con l’indice più libera ti sa,

scendiamo, anima mia, laggiù in città:

fango per terra e neon da sopra il tetto.

Sia l’eco di parole sussurrate

sul pane che ogni giorno ci è spezzato

a scrivere con dita arabescate

sulle onde di Mombasa mozzafiato.

Per la banale spietatezza del reale

faremo barche di carta filigrana

dentro Jamuhuri Park[1], nella fontana,

in un acconto di allegria che vale:

quella dei bimbi nati e già sfioriti,

dei vecchi senza casa e a cuore aperto,

delle mamme consumate in vecchi riti

sotto le pallide lune del deserto.

Questa è quella ferita che non sana,

come la notte dell’innamoramento,

acqua che corre, fresco che ne emana

e scava anche la pietra, anche il cemento.

O forse è acqua che non fa più vino,

abisso aperto, crollate già le mura,

quando lo trovi ancora più vicino

dopo la notte buia di paura

in un qualunque sole del mattino

a offrirti vino per la sete più dura.

L’anima mia sorride con le rose

i fiori della passione e l’altre cose

che costodisce gelosa tra le mani,

e chiede, ora con labbra più insidiose:

«ma domani, che sarà domani?»


[1] È il parco più importante della capitale keniana, luogo di sfilate e celebrazioni nazionali.