PRESENTAZIONE

«Ancora una volta Caino ha osato uccidere suo fratello Abele». Sono parole di Dom Manuel Vieira Pinto, arcivescovo di Nampula, durante i funerali del missionario comboniano Fratel Alfredo Fiorini, a Carapira, il 24 agosto 1992. Nei 35 anni di guerra e di guerriglia, sia prima che dopo l’indipendenza (1975) Dom Manuel ad ogni funerale ha ripetuto sempre le stesse parole: «La guerra continua così in Mozambico: fratello contro fratello, fratelli che ammazzano fratelli».

Nel caso di Alfredo, questa parola ‘Fratello’ era più appropriata che mai. Egli aveva infatti rinunciato volontariamente a diventare Padre (cioè sacerdote) per essere e per restare Fratello e potersi dedicare interamente alla professione medica. «Ha fatto sentire la verità del vangelo presentando se stesso come ‘fratello’», ha scritto p. Giacomo Palagi, superiore provinciale dei missionari comboniani del Mozambico._

Affermazione che coincide con la definizione più bella che il Papa dà del missionario nell’enciclica Redemptoris Missio al n. 89: «Il missionario è fratello universale».

Non è facile presentare oggi la figura e la vocazione del ‘fratello’ missionario. Testimone l’imbarazzo con cui i mass media hanno riportato la notizia dell’uccisione di Alfredo. All’oscuro ormai del significato di termini che fanno riferimento alla vita consacrata, giornali e tv l’hanno definito, con visibile perplessità, ‘laico… frate… religioso… medico… volontario…’. E quante persone, del resto, mi hanno chiesto esitanti: «Ma se era religioso, come mai non era prete? Se era laico, allora non aveva i voti religiosi? Poteva quindi sposarsi? Il suo impegno era a vita?… D.

Chi è il fratello missionario? Daniele Comboni scriveva nel 1879: «In Africa Centrale i Fratelli giovano al nostro apostolato più che i Sacerdoti» (Scritti, 5831). Alfredo apparteneva a questa schiera di uomini che hanno accompagnato l’annuncio del vangelo con il lavoro, l’impegno per la promozione umana, l’attenzione ai problemi materiali. Come sempre, la spiegazione migliore non ci può venire da definizioni astratte o da bei discorsi, ma solo da esempi concreti, da testimonianze di vita vissuta, come quella di Alfredo Fiorini.

In questa breve biografia l’autore ci fa rivivere l’esperienza affascinante del medico Alfredo. Veramente più che di ‘biografia’ si dovrebbe parlare di ‘autobiografia’, perché moltissimo è preso dalle sue lettere, dai suoi scritti, dalle sue interviste sia alla radio che alla televisione.

I1 titolo «Il sogno di Alfredo» è molto appropriato. Ha tanto sognato Alfredo: la pace in Mozambico, la fraternità, la riconciliazione, la solidarietà, la fine del Venerdì Santo, l’inizio della Risurrezione e della Rigenerazione della società mozambicana, l’assistenza medica per tutti…

«La morte di Alfredo?», si è chiesta suor Adriana Vinco, missionaria a Netia. «È vero che eravamo ancora nel pericolo, ma è stata una cosa impensata, che sentiamo completamente inspiegabile. Nel senso che lui viaggiava pochissimo, proprio perché era prudente (gli altri dicevano che aveva paura). Quelli che sono arrivati in Mozambico con lui hanno viaggiato molto di più. E allora ti viene da chiedere: perché lui? E poi contavamo su di lui. Aveva iniziato un lavoro molto bello. Aveva un tratto rispettoso con la gente. Era felice di stare qui, perché si sentiva tra i più poveri. E non era un medico dei corpi solamente. Pensava a una pastorale della `salute’. Era andato a parlare di questi suoi piani al vescovo. Dom Manuel, arcivescovo di Nampula, ha detto: «Alfredo, sognavamo molto su di te. Sarà troppo sognare su una persona? I poveri non possono fare neanche questo? A loro sarà proibito sognare qualcosa di diverso che non sia la morte? Veramente si tocca l’assurdità del male. L’imperdonabilità delle guerre. Di coloro che le alimentano e ne ritardano la fine per interessi del `vile denaro’. Dovranno conoscere l’ira di Dio».

Credevo di conoscere Alfredo, invece devo confessare che i suoi scritti mi hanno condotto alla scoperta di un uomo eccezionale sia professionalmente che spiritualmente. Un missionario come Comboni voleva, mistico, poeta. Mons. Domenico Pecile, vescovo della diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, non ha esitato a definire Alfredo «segno profetico»: non solo con la sua vita ma anche con la sua

morte, non solo per il Mozambico ma anche per la nostra comunità ecclesiale italiana.

«Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici» ha detto Gesù. E il Comboni: «Il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi». L’assassinio di Alfredo da fatto di violenza gratuita diventa inizio di cose nuove, come dal seme sepolto sotto terra può sbocciare una nuova vita. Chi ha voluto la sua morte, in realtà ci ha consegnata più viva che mai la sua vita e ha reso ancor più credibili gli ideali che la guidavano.

Con questo titolo un giornale ha dato la notizia dell’uccisione in Perù, ad opera di Sendero Luminoso (15.2.1992), della coraggiosa sindacalista Maria Helena Moyano : «Uccidendola non hanno fatto altro che spargere semi di vita». Proprio quello che aveva detto l’arcivescovo Romero, pochi giorni prima del suo martirio (24.3.1980): «Se mi uccideranno, risusciterò nel mio popolo e la mia voce risuonerà più forte che mai».

Questa biografia di Alfredo non vuoi essere una devota esaltazione di un missionario dei nostri giorni, ma un invito a scoprire e raccogliere il messaggio che Dio ci offre attraverso quei profeti che non manca mai di suscitare nella sua Chiesa. Ed è Gesù stesso che ci invita a farlo: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre Vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).

Alfredo sarebbe rientrato dal Mozambico per un po’ di ferie fra due anni: col suo entusiasmo e con la sua esperienza di missione avrebbe tanto animato la Chiesa che l’aveva ‘inviato’. Invece è tornato in una bara. Eppure il suo funerale è stato il momento più forte di animazione missionaria che le migliaia di persone presenti abbiano mai sperimentato nella loro vita. Gesù, dopo la sua risurrezione, era orgoglioso di mostrare le cicatrici delle sue ferite, prova del suo amore infinito. Da quella bara la voce di Alfredo sembrò risuonare più forte che mai, e penetrare nel; profondo dei cuori: «Ho fatto il mio dovere. Ho donato tutto me stesso. Vi lascio un’opera appena cominciata. Basta solo aprirsi alla sofferenza degli altri. Non è questione di coraggio, ma di amore…».

P. RAFFAELE CEFALO

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